Ambassador Michael Froman United States Trade Representative Executive Office of the President 600 17th Street NW Washington, DC 20508
Commissioner Karel de Gucht Commissioner for Trade European Commission
BE-1049 Brussels
16 Dicembre 2013
Signor Ambasciatore Michael Froman e Signor Commissario Karel De Gucht,
Le sottoscritte organizzazioni condividono l’appello datato 16 dicembre 2013 – primo firmatario l’associazione 335.org – e vi esprimiamo la nostra ferma opposizione all’inclusione della clausola ISDS (Investorstate Dispute Settlement – Risoluzione delle controversie tra Investitori e Stati) nel Trattato di partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership).
La clausola ISDS garantisce alle multinazionali straniere il diritto di ricorrere a un tribunale commerciale privato e contestare direttamente quelle politiche e azioni dei governi che, a loro dire, riducono il valore dei loro investimenti. Anche nel caso in cui un nuovo provvedimento venga applicato indistintamente a investitori nazionali e stranieri, la ISDS permette alle società straniere di chiedere un risarcimento per l’assenza di un “ambiente normativo prevedibile”.
Negli anni recenti è decisamente aumentato il ricorso alla ISDS per opporsi a una vasta gamma di politiche adottate dai governi. La sua inclusione negli accordi di libero scambio e nei trattati bilaterali di investimento ha permesso alle aziende di intentare oltre 500 cause legali contro 95 governi. Molte di queste sono rivolte direttamente contro l’interesse pubblico e le politiche ambientali.
Vi chiediamo con forza di escludere la clausola ISDS dal Trattato atlantico sul libero scambio per le seguenti ragioni:
La ISDS costringe i governi a usare il denaro dei contribuenti per risarcire le aziende per le normative che gli stessi governi hanno adottato a tutela della salute, dell’ambiente, del lavoro e altri temi di interesse pubblico: è stata usata infatti per attaccare provvedimenti riguardanti energie pulite, estrazioni mineraria, uso del territorio, salute, lavoro e altro. Di fatto, sugli oltre 14 miliardi di dollari in gioco nelle 16 cause ora pendenti in merito agli accordi di libero scambio statunitensi, tutti sono relativi a politiche legate ad ambiente, energia, regolamentazione finanziaria, salute pubblica, uso del territorio e trasporti – che non riguardano i tradizionali oggetti del commercio.
Le multinazionali sempre più spesso stanno sfruttando la ISDS per contestare gli interventi governativi non discriminatori. Per esempio, tramite questo meccanismo gli investitori europei hanno attaccato l’aumento del salario minimo in Egitto e un’azienda americana ha impugnato la decisione del governo peruviano di regolamentare i rifiuti tossici e chiudere una fonderia inquinante e pericolosa.
È famoso il caso del colosso del tabacco Philip Morris che ha intrapreso azioni legali tra Investitore e Stato contro le leggi anti-fumo in Uruguay e Australia, dopo aver fallito nel tentativo di combatterle nei tribunali nazionali. A maggior ragione, considerato il grande numero di compagnie registrate tanto negli Stati Uniti quanto nell’Unione europea, la quantità di attacchi basati sulla ISDS alle politiche per l’interesse pubblico sarà destinata ad aumentare nettamente se la ISDS stessa sarà inclusa nel Trattato atlantico sul libero scambio. I governi devono avere la flessibilità necessaria per attuare politiche nel pubblico interesse senza dover temere le rivalse legali delle aziende.
La clausola ISDS mina il processo decisionale democratico: concede infatti alle aziende straniere il diritto di impugnare direttamente le politiche e le azioni dei governi davanti a tribunali privati, scavalcando i tribunali nazionali e creando così un nuovo sistema legale a disposizione esclusiva delle multinazionali e degli investitori stranieri. La clausola ISDS offre alle multinazionali anche la struttura per opporsi alle decisioni dei tribunali nazionali, minando ancora di più il ruolo decisionale degli Stati. In breve, la clausola ISDS è una strada a senso unico attraverso la quale le multinazionali possono contestare le politiche dei governi ma, dall’altro lato, né ai governi né ai singoli sono garantiti pari diritti per far sì che le aziende debbano rispondere delle loro azioni.
I vigenti sistemi giuridici europei e statunitensi sono in grado di gestire le controversie sugli investimenti: gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno sistemi giudiziari e di protezione dei diritti di proprietà molto solidi. Includere la clausola ISDS nel TTIP non farebbe altro che offrire alle multinazionali un nuovo mezzo per attaccare le politiche nazionali che i rispettivi Tribunali ritengono lecite. Un sistema di risoluzione delle controversia tra Stato e Stato è più che sufficiente per gestire le controversie sugli investimenti.
Questo e altri motivi di preoccupazione evidenziano le ragioni per cui le nostre organizzazioni si oppongono a includere le controversie Investitore-Stato nel TTIP – Accordo di partenariato transatlantico.
Vi chiediamo quindi di escluderle dall’accordo stesso.
Usa e Unione Europea o internazionali:
350.org
Global Marshall Plan Initiative
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