Riporto integralmente e da me solo evidenziato questa recensione del libro di Valentina Furlanetto, Noi schiavisti. Come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa, Laterza, Roma-Bari 2021.
Così lavorano gli italiani
di Daniela Barbieri
Una bracciante «morta di stanchezza» e un rider sfruttato all’inverosimile. Pensate a migranti irregolari, vero? Triste sorpresa: sono storie di italiani. Come scrive l’autrice: «di italiani costretti ad adattarsi al subappalto, al nero e all’assenza di diritti ce ne saranno sempre di più». Attenzione agli stereotipi: i buoni e i cattivi (fra nativi e stranieri) possono anche scambiarsi di ruolo. E «se la nostra società si basa su un’infrastruttura di stampo para-schiavistico, se il sistema è sotto gli occhi di tutti ed è accettato, non contrastato, tollerato allora nessuno è completamente innocente: né la politica, né i grandi sindacati, né le istituzioni, né le aziende, né i cittadini consumatori, né noi.
Neppure i migranti che spesso, una volta capito come funziona, diventano loro stessi caporali o sfruttatori dei connazionali». Un bel libro con 9 capitoli a raccontare gran parte dell’economia italiana, partendo da ciò che di solito viene taciuto: il sudore e il sangue di chi fatica. Andrew Daldani è un fattorino eppure lavora nell’industria della carne con una pistola «per stordire gli animali» (la solita falsa cooperativa). Elisabetta Cebotari e Lilia Bicec sono due badanti come Manuela («se mi servono soldi … mi prostituisco»). Le loro storie si intrecciano in parte con quelle di Antonio Esposito, Maurizio, Stefania Vezzali che a loro ricorrono per assistere parenti anziani.
I numeri? «Due milioni di badanti e lavoratrici domestiche in Italia producono 18,8 miliardi di valore aggiunto… di cui 7,7 da imputare ai regolari e 11,3 agli irregolari». Fra i costi umani c’è il mal di vivere da esilio e sfruttamento: «una sindrome Italia» da curare come grave depressione.
Chiameremo Josè il driver che lavora (ovviamente in subappalto) per Amazon. Ed è attraverso lui che l’autrice ci guida nella logistica italiana: «800mila addetti per circa 15mila imprese e 70 miliardi di fatturato».
Il 7 maggio 2020 l’italo-maliano Cheickna Hanal Diop viene licenziato per aver «denunciato pubblicamente le condizioni di lavoro ad altissimo rischio» durante il covid all’Istituto Palazzolo Don Gnocchi. Il quarto capitolo racconta “gli eroi” (in subappalto anche loro) dell’assistenza agli anziani che vengono cacciati se si occupano dei diritti… loro e dei pazienti, cioè di tutti.
Il settore pulizie vuol dire «600mila operatori, il 70% donne». Anche qui emerge come il lavoro sia semi-schiavistico. Può andare persino peggio: è il caso dei braccianti nell’Agro Pontino come racconta Kalu Singh: 10 ore al giorno per 600 euro al mese ma lui deve pagarne 250 per dormire in un container. Accade così in tutta Italia (con rare eccezioni) ed è il capitolo più lungo e impressionante.
Chi legge si sorprenderà forse scoprendo che in Italia esistono ancora gli spaccapietre (molti sono cinesi) e lavorano nelle stesse condizioni del Medioevo. Invece le grandi navi sembrano simbolo della modernità eppure nei cantieri regna lo stesso mix di subappalti e sfruttamento come per i ciclo-fattorini (circa 20mila) del cibo raccontati nell’ultimo capitolo.
Ogni storia consente di fare luce su alcuni settori lavorativi italiani esaminando somiglianze (molte) e differenze importanti – a esempio «il lavoro di cura» – con il resto d’Europa. Una volta i bravi giornalisti partivano da una storia o una persona per analizzare grandi questioni. Valentina Furlanetto riesce a farlo per 200 pagine senza banalizzare mai.
(Le Monde diplomatique – il Manifesto, febbraio 2022)