Luciano Gallino commenta l’esito del referendum greco in maniera essenziale ma sempre coerente con una visione storica e strutturale dei problemi.
«Il referendum contro l’austerità in Grecia è stato politicamente importante per l’intera Europa — sostiene Luciano Gallino, autore di FinanzCapitalismo e Il colpo di stato di banche e governi (Einaudi) — Se un popolo ridotto in miseria, che conta 11 milioni di abitanti, riesce a creare seri problemi ai paesi più importanti d’Europa, con un peso economico e politico come la Germania, ad un certo numero di persone potrebbero venire delle idee.
Quali, ad esempio?
Anziché subire passivamente le direttive di Bruxelles, che in molti casi sono quelle di Berlino, potrebbero puntare i piedi e discutere i provvedimenti. Cosa che non è avvenuto in Italia negli ultimi quattro governi italiani che hanno accettato passivamente e pedissequamente obbedito alle terapie della Commissione Europea o della Bce. Non si è mai vista una banca centrale chiedere di rendere flessibile il mercato del lavoro. Lo fece con Trichet da governatore con la lettera del 2011. Il governo Monti messo al posto di quello Berlusconi ha immediatamente provveduto a farlo. Chissà se il caso della Grecia non farà crescere il numero delle persone che vogliono farsi sentire sull’euro o sul funzionamento dell’Unione Europea.
Tsipras ha denunciato un colpo di stato contro il suo governo. Che cosa è accaduto davvero in Grecia nell’ultima settimana?
Si è concretata la situazione che sta maturando da molti anni. La democrazia è un fattore di disturbo per le istituzioni europee, per molti paesi a cominciare dalla stessa Germania o per il Fondo Monetario Internazionale. Tanto Lagarde, quanto Merkel, hanno detto in varie occasioni che è molto bello vivere in democrazia ma che bisogna anche rendersi conto che la democrazia si deve conformare alle esigenze del mercato. Io trovo queste dichiarazioni politiche di una gravità eccezionale perché dovrebbe essere vero invece esattamente il contrario. In Europa la democrazia viene considerata ormai un intoppo per le decisioni del mercato. Del resto nei trattati fondativi dell’Unione i riferimenti alla democrazia sono nulli. Con la Grecia hanno proprio esagerato. Se anche i primi ministri, per non parlare dei funzionari della Bce o di importanti esponenti dei socialisti hanno interferito apertamente con il governo greco, dimostrando che per loro la democrazia è una seccatura per la libera circolazione dei capitali. La socialdemocrazia è scomparsa totalmente. È ora di prendere posizione. Non che sia facile ma, piuttosto che battere la testa contro un muro, vale la pena di provarci.
Professor Gallino lei sostiene che dal 2007–8 sia in corso in Europa proprio un colpo di stato. Il referendum greco è stata una prima risposta collettiva?
È una risposta politica dei greci a cinque anni di politiche devastanti imposte da Commissione Ue, Fmi e Bce, ed è anche la prima contro quanto è maturato in Europa dalla crisi dei debiti sovrani in poi. La prima fase del colpo di stato presupponeva che le vittime protestassero un po’, per poi obbedire come nulla fosse successo. Oggi, il fatto che un paese economicamente insignificante alzi la testa e prenda a calci negli stinchi questi poteri è un fatto rilevante. Alexis Tsipras ha rivelato una tempra fisica e politica eccezionale per reggere cinque mesi di trattative. Oggi il fatto nuovo è che qualcuno abbia detto “No”, non solo nelle piazze, ma soprattutto nelle trattative, imponendo un referendum al quale hanno partecipato milioni di persone. Questo ha innervosito molto Merkel e gli ineffabili pretoriani della Commissione Europea o del Consiglio Europeo.
Quante possibilità esistono per un accordo sul debito e sui fondi per la Grecia?
Lo spettro delle opzioni sul tavolo oggi è molto ampio. La ristrutturazione del debito è essenziale, ogni economista di mezza tacca ammette che non è pagabile. La Grecia ha perso il 25% del pil grazie alle medicine tossiche di Bruxelles. In queste condizioni, se va bene, riusciranno a pagare un debito che arriverà al 180% del Pil tra moltissimi anni. Questa situazione dimostra che gli economisti che hanno proposto queste ricette non conoscono il loro mestiere e andrebbero licenziati. La soluzione è quella di affrontare i problemi immediati: creare occupazione qualificata per milioni di persone, se è possibile evitando i giochetti come il Jobs Act che non servono a nulla, aumentare la produzione possibilmente non con le vecchie politiche industriali e nuove politiche di investimenti pubblici. Per fare questo è necessario ridiscutere il trattato istitutivo dell’Unione Europea, oltre che lo statuto della Bce, che non contempla la necessità della nostra epoca, cioè creare occupazione o il prestito di denaro ai governi. Una cosa inaudita per una banca centrale.
In che modo si può intervenire?
Ci sono due problemi collegati da affrontare. I trattati, oggi, non sono modificabili, se non all’unanimità. È il segno dell’impossibilità pratica di intervenire: come si fa a far votare 28 paesi insieme? Questo è il funzionamento di un’unione nata male, fondata sulle necessità economiche e non su quelle democratiche, dove la partecipazione non conta nulla. Poi c’è il problema della Germania, l’unico paese ad avere avuto vantaggi dall’euro in termini di export e produttività, anche se negli ultimi dieci anni in questo paese i salari sono rimasti fermi. Convincerla a diminuire l’export, è difficile se non impossibile, ma questo è uno dei problemi fondamentali e lo dicono anche gli economisti tedeschi. L’euro non funziona e non funzionerà mai. Non si tratta però di continuare le invettive contro la finanza, ma di mettersi a studiare cosa fare per migliorare l’euro, per affiancarlo a monete parallele o dissolverlo in maniera consensuale. Così com’è l’euro è una camicia di forza che rende la vita impossibile a tutti, tranne che alla Germania.
In Europa Tsipras è isolato. Se il suo governo perde la guerra, cosa si prepara per la Spagna, con Podemos, e in generale per l’Europa?
A questo punto, anche se perde, Tsipras ha vinto comunque. Le vittorie restano, spingono le persone a fare qualcosa che prima non osavano nemmeno immaginare. Qualcosa di nuovo può rinascere dopo la scomparsa totale della sinistra in Europa.
(il manifesto, 6 luglio 2015)
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Paul Krugman scrive sul NYT:
Unless Greece receives really major debt relief, and possibly even then, leaving the euro offers the only plausible escape route from its endless economic nightmare. And let’s be clear: if Greece ends up leaving the euro, it won’t mean that the Greeks are bad Europeans.
(Senza ottenere un taglio importante del debito, e forse neanche così, lasciare l’euro offre l’unica via di fuga plausibile dal suo incubo economico senza fine. E siamo chiari: se la Grecia finirà per lasciare l’euro, non significa che i greci sono cattivi europei.)