Abbiamo tre priorità politiche:
1. Porre fine all’austerità e alla crisi.
2. Mettere in moto la trasformazione ecologica della produzione.
3. Riformare le politiche dell’immigrazione in Europa.
E un programma politico riassumibile in dieci punti:
1. Immediata fine dell’austerità. L’austerità è una medicina nociva e per di più somministrata al momento sbagliato con devastanti conseguenze per la coesione della società, per la democrazia e per il futuro dell’Europa. Una delle cicatrici lasciate dall’austerità che non mostra segni di guarigione è la disoccupazione, in particolare tra i giovani. Oggi, quasi 27 milioni di persone sono disoccupate nell’Unione Europea, di cui più di 19 milioni nell’Eurozona. La disoccupazione ufficiale nell’Eurozona è salita dal 7,8% nel 2008 al 12,1% nel novembre 2013. In Grecia, dal 7,7% al 24,4% e in Spagna dal 11,3% al 26,7% nello stesso periodo. La disoccupazione giovanile in Grecia e Spagna si aggira intorno al 60%. Con 4,5 milioni di under-25 disoccupati, l’Europa firma la sua condanna a morte.
2. Un New Deal europeo. L’economia europea ha sofferto sei anni di crisi, con disoccupazione media sopra il 12% e il rischio di una depressione pari a quella degli anni ’30. L’Europa potrebbe e dovrebbe prendere in prestito denaro a basso interesse per finanziare un programma di ricostruzione economica focalizzato sull’impiego, sulla tecnologia e sulle infrastrutture. Il programma aiuterebbe le economie colpite dalla crisi ad emergere dal circolo vizioso di recessione e incremento del debito, creare posti di lavoro e sostenere il recupero economico. Gli Stati Uniti ce l’hanno fatta. Perché non noi?
3. Espansione dei prestiti alla piccola e media impresa. Le condizioni dei prestiti in Europa sono disastrose, e le piccole e medie imprese sono quelle colpite più duramente. In migliaia, soprattutto nel sud dell’Europa, sono state costrette a chiudere non perché non erano sostenibili, ma perché il credito era esaurito. Le conseguenze per i posti di lavoro sono state terribili. Tempi straordinari richiedono misure straordinarie: la banca centrale europea dovrebbe seguire l’esempio delle banche centrali degli altri paesi e fornire prestiti a basso interesse alle banche solo se queste accettano di di fare credito con bassi interessi alle piccole e medie imprese.
4. Sconfiggere la disoccupazione. La disoccupazione media europea è la più alta mai registrata. Molti dei disoccupati rimangono senza lavoro per più di un anno e molti giovani non hanno mai avuto l’opportunità di ricevere un salario per un impiego decente. La maggior parte della disoccupazione è il risultato dello scarso o nullo sviluppo economico, ma anche se la crescita riprenderà, l’esperienza insegna che è necessario molto tempo perché la disoccupazione torni al livello di prima della crisi. L’Europa non può permettersi di aspettare così a lungo. Lunghi periodi di disoccupazione sono devastanti per le abilità dei lavoratori, specialmente i giovani; questo nutre l’estremismo di destra, indebolisce la democrazia e distrugge l’ideale europeo. L’Europa non deve perdere tempo, deve mobilitarsi e ridirigere i Fondi Strutturali per creare significative possibilità d’impiego per i cittadini. Laddove i limiti fiscali degli stati membri sono troppo stretti, i contributi nazionali devono essere azzerati.
5. Sospensione del nuovo sistema fiscale europeo. È richiesto, anno per anno, il pareggio di bilancio indipendentemente dalle condizioni economiche dello stato membro. Questo impedisce l’uso di politiche fiscali come strumento di stabilità e crescita nei momenti di crisi, cioè quando è più necessario. L’Europa necessita invece di un sistema fiscale che assicuri la responsabilità fiscale sul medio termine e allo stesso tempo permetta agli stati membri di usare lo stimolo fiscale durante una recessione. Una politica modificata ciclicamente che esenti gli investimenti pubblici è necessaria.
6. Una vera e propria banca europea che possa prestare denaro come ultima risorsa per gli stati-membri e non solo per le banche. L’esperienza storica suggerisce che le unioni monetarie di successo necessitano di una banca centrale che adempia a tutte le funzioni di una banca e non serva solo a mantenere la stabilità dei prezzi. Il prestito a uno stato bisognoso dovrebbe essere incondizionato e non dipendente dall’accettazione di un programma di riforme con il meccanismo di stabilità europea. Il destino dell’Euro e la prosperità dell’Europa dipende da questo.
7. Aggiustamento macroeconomico: i paesi che hanno surplus economico dovrebbero lavorare con i paesi in deficit per bilanciare l’andamento macroeconomico all’interno dell’Europa. L’Europa dovrebbe monitorare, valutare e stimolare l’azione dei Paesi in surplus per alleviare la pressione unilaterale sui Paesi in deficit. L’attuale squilibrio non danneggia solo i paesi in deficit. Danneggia l’intera Europa.
8. Una Conferenza del Debito Europeo. La nostra proposta è ispirata ad uno dei più lungimiranti momenti nella storia politica Europea: l’Accordo di Londra sul Debito del 1953, che alleviò il peso economico della Germania, aiutando a ricostruire la nazione dopo la guerra e aprendo la strada per il suo successo economico. L’Accordo non richiedeva il pagamento della metà dei debiti, sia privati che intergovernativi ma legava i tempi del pagamento alla possibilità del Paese di restituire, diluendo il ripianamento su un periodo di 30 anni. Collegava il debito allo sviluppo economico, seguendo una implicita clausola di crescita: nel periodo tra il 1953 e 1959 gli unici pagamenti dovuti sono stati gli interessi del debito, per concedere alla Germania il tempo di recuperare. A partire dal 1958, l’Accordo prevedeva pagamenti annuali che diventarono sempre meno significativi con la crescita dell’economia. L’accordo prevedeva che la riduzione dei consumi della Germania, quello che oggi chiamiamo “devalutazione interna”, non fosse un metodo accettabile: i pagamenti erano condizionati dalla possibilità di pagare. L’Accordo di Londra rimane un piano d’azione utilizzabile anche oggi. Non vogliamo una Conferenza del Debito Europeo per il Sud dell’Europa, vogliamo una Conferenza del Debito Europeo per l’Europa. In questo contesto, si devono usare tutti gli strumenti politici disponibili, inclusi i prestiti dalla Banca Europea come ultima risorsa oltre alla istituzione di un debito sociale europeo, come gli Eurobond, per sostituire i debiti nazionali.
9. Un Atto Glass-Steagall Europeo. Bisogna separare le attività concrete dagli investimenti bancari finanziari per prevenire la loro trasformazione in una sola entità incontrollabile.
10. Una legislazione Europea che renda possibile tassazione delle attività finanziarie e imprenditoriali offshore.
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Collego un articolo di Guido Viale sui tre punti del programma della lista Tsipras, Un programma radicale per cambiare l’Europa, e riporto il testo sul primo punto, la politica di austerità, assolutamente centrale in queste elezioni europee.
“Su che cosa significa abolizione dall’austerity bisogna essere chiari e nessun economista finora lo è stato abbastanza. Il debito pubblico dell’Italia, come quello della Grecia, del Portogallo e, in un prossimo futuro, di molti altri Stati, è insostenibile.
Nessuna politica di salvaguardia dei diritti di cittadinanza, lavoro, reddito, salute, istruzione, giustizia, nessuna politica di sviluppo umano e meno che mai nessuna politica di rilancio della “crescita” (per chi crede che la soluzione dei nostri problemi stia nella crescita del PIL) è perseguibile entro i vincoli del pareggio di bilancio o, peggio, entro quelli del fiscal compact, che prevede la restituzione (alle banche!) di oltre mille miliardi, sottratti ai redditi di chi ancora ne ha uno, entro i prossimi vent’anni.
Come sostiene Tsipras nella sua dichiarazione, quei debiti vanno rinegoziati per ottenerne una sostanziale riduzione, sia attraverso la mutualizzazione di una loro parte sostanziale, sia attraverso la loro remissione, sul modello di quanto fatto nei confronti della Germania con la conferenza di Londra del 1953. Tutto ciò non può essere imposto da un solo paese (equivarrebbe a un mero fallimento, che vorremmo evitare), ma deve essere proposto e sostenuto da una coalizione dei paesi che lo presentino come unica alternativa praticabile non solo al proprio fallimento, ma a quello dell’euro e dell’intera costruzione europea.
Per questo andiamo in Europa con Tsipras e non ci rifugiamo nelle nostalgie di una immaginaria autonomia nazionale.”