Sui due maggiori quotidiani italiani oggi compaiono due interviste interessanti sul concetto (e sulla prassi) di sinistra.
Sul Corriere della Sera online: “De Gregori: non voto più. La mia sinistra si è persa tra slow food e No Tav”. Ne riporto solo la prima parte.
Cos’ha votato alle ultime elezioni?
«Monti alla Camera e Bersani al Senato. Mi pareva che Monti avesse governato in modo consapevole in un momento difficile. Sono contento di com’è andata? No. Oggi non so cosa farei. Probabilmente non voterei. Con questo sistema, tanto vale scegliere i parlamentari sull’elenco del telefono».
Dice questo proprio lei, considerato il cantautore politico per eccellenza? L’autore de «La storia siamo noi», per anni colonna sonora dei congressi della sinistra italiana?
«Continuo a pensarmi di sinistra. Sono nato lì. Sono convinto che vadano tutelate le fasce sociali più deboli, gli immigrati, i giovani che magari oggi nemmeno sanno cos’è il Pd. Sono convinto che bisogna lavorare per rendere i poveri meno poveri, che la ricchezza debba essere redistribuita; anche se non credo che la ricchezza in quanto tale vada punita. E sono a favore della scuola pubblica, delle pari opportunità, della meritocrazia. Tutto questo sta più nell’orizzonte culturale della sinistra che in quello della destra. Ma secondo lei cos’è oggi la sinistra italiana?».
Me lo dica lei, De Gregori.
«È un arco cangiante che va dall’idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del “politicamente corretto”, una moda americana di trent’anni fa, e della “Costituzione più bella del mondo”. Che si commuove per lo slow food e poi magari, “en passant”, strizza l’occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me».
Su la Repubblica (p. 33) l’ennesima e giornaliera sortita di Massimo Cacciari: “Quella parola non serve più, chi la usa è un conservatore”. Di questa seleziono qualcosa in mezzo.
Neppure Bobbio, dieci anni dopo, la convinse a recuperare il concetto?
«Nel suo sforzo di definire le basi di un “tipo ideale” della sinistra, Bobbio ricorse all’idea guida di uguaglianza. Ma era una base disperatamente povera, non sorreggeva una vera dualità, una vera opposizione. Chi mai oggi promuove la diseguaglianza? Voglio dire, chi la propone apertamente come programma politico? E’ chiaro che la diseguaglianza esiste, anzi cresce, ma non è un’ideologia, è un fatto. La diseguaglianza non è il programma odioso di un avversario riconoscibile, semmai è la forma che ha assunto la globalizzazione, è l’anonimo che ha preso il volto dello stato di natura, dell’inevitabile, e nessuno se lo intesta. (…)»
Trent’anni fa lei si chiedeva se avesse senso tentare di recuperare la parola sinistra. Ha una risposta oggi?
«Sì, negativa. Quello che ha senso è ridefinire una politica di cambiamento. (…) Urgente è il fare. Rivolgersi ai problemi. Chiedersi cosa è l’Europa, cosa è nazione, come si affronta la globalizzazione. Non c’è un prontuario di sinistra per queste cose, perché la disposizione concettuale destra-sinistra è arcaica, lineare, mentre il mondo oggi è multidimensionale.»
Ecco, questi due mi mancavano. Dopo Giorgio Gaber che almeno queste cose le cantava nel 1994, dopo il Veltroni fondatore del Pd (oggi anche lui riparla di sinistra, è spesso fuori fase), dopo il Grillo fondatore del M5S, dopo un ventennio in cui i vecchi democristiani, che si sono sempre definiti di centro, sono tornati a governare appoggiati dai banchi di tutta la geometria parlamentare, dove si sono rimescolati, mi mancava uno che votando Monti (un governante “consapevole”) e un altro che ridicolizzando Bobbio (“nel suo sforzo” disperato ma inutile) venissero a dire che la distinzione destra-sinistra è “incompatibile con la modernità” (De Gregori) e “arcaica” (Cacciari).
Comunque, grazie. Se questi – in qualche modo, una volta, per un po’ – sono stati intellettuali di sinistra, anche se entrambi come uomini di spettacolo, adesso mi è più chiaro perché la sinistra non esiste. Ma forse no, è solo finita in basso, tanto in basso, in fondo a destra.
Così Amartya Sen su un giornale indubbiamente di destra, Il Giornale:
Anthony Giddens ha difeso la tradizionale dicotomia destra-sinistra (a differenza del premier Monti). Per lei l’opposizione è ancora utile?
A mio avviso la distinzione c’è e affonda nei valori fondamentali delle due parti. Idealmente, la sinistra è garante della felicità, diritto da assicurare universalmente con l’interventismo statale. La destra originariamente è stata il bastione dei diritti proprietari; ora, più genericamente, difende le libertà individuali e il libero mercato. Personalmente sono di sinistra. Penso, però, che la sinistra debba prestare attenzione ai capisaldi liberali della destra. Il bipolarismo destra-sinistra è rintracciabile, seppure con cospicue diversità, sia negli Stati Uniti sia in Europa. Non si può dire lo stesso dell’Italia. Ed è deprimente che nel paese di Antonio Gramsci non si scorga un’agenda politica che possa definirsi veramente “di sinistra”.