Ad una settimana scarsa dal voto, è il momento di dire per chi voterò, anche se continuerò in questi giorni a fare vecchie e nuove considerazioni.
Approfitto di un testo di Angelo d’Orsi, appena apparso su Micromega online, di cui riporto solo la parte finale, anche se mi riconosco quasi integralmente su tutto quanto è scritto.
E allora io cittadino perplesso, vagamente dégôuté, mi chiedo, tra me e me, mentre passeggiando sfoglio i giornali: possibile che non si possa pensare e praticare una politica nobile, coerente e, soprattutto, trasparente? Possibile che pur privilegiando, machiavellianamente, il principio dell’efficacia come principio fondante l’agire politico (è buono ciò che serve, serve naturalmente a conquistare il potere), non si possa tentare di conciliarlo con le istanze di partecipazione e democrazia che da tante parte negli ultimi decenni giungono dal basso? E, in tal senso, mi dico: se si vuole dare un messaggio di “diversità” i modi, le forme, le procedure, sono se non tutto, una parte eminente del messaggio stesso. E non le si consideri, altezzosamente, questioni di dettaglio: d’altronde, come scrisse Peter Schneider, scrittore e intellettuale tedesco (“di sinistra”), “a furia di trascurare i dettagli si perdono di vista i princìpi”.
L’autore fa riferimento, è chiaro dal testo integrale, alla formazione delle liste in Rivoluzione Civile, già oggetto di questo blog. Personalmente avevo poche speranze all’ipotesi di “Cambiare si può”, un’iniziativa complementare ad Alba, il soggetto politico nuovo, che pensava a liste di cittadinanza totalmente scelte da assemblee sovrane. Ma dissi vediamo, la speranza non finisce mai. Sappiamo com’è andata, a partire dall’assemblea veneziana che aveva scelto Maria Rosa Vittadini, urbanista a Venezia e tra i maggiori esperti nazionali in tema di trasporti, a cui è stata proposta la quinta o sesta posizione in lista, praticamente ineleggibile, costringendola a ritirarsi.
Come d’Orsi, ho pensato per qualche giorno che non avrei votato e soprattutto che sarebbe salutare che questa nuova lista Arcobaleno, un altro espediente di partitini (Rc, Pdci, Idv, verdi e arancioni), non entrasse in Parlamento, cancellando definitivamente le tracce di sigle ormai insignificanti nella politica nazionale. Ma non c’è dubbio alcuno che il programma di Rivoluzione Civile sia il migliore tra quelli leggibili in questi giorni e l’unico che non nasconda ipocrisie o palesi miserie culturali. Anche se avrei preferito che alla base di una nuova stagione politica ci fossero i 25 punti essenziali di programma di Alba, un documento pronto alla fine di novembre 2012, lucido e coerente, di 4.300 parole (compresi gli articoli e le preposizioni), dove compaiono le parole lavoro (13 volte), società (9), democrazia (8), Europa (8) e libertà (6), ma non “crescita”. Vi si trova tre volte il termine “partecipazione” che parla da solo e che non ha bisogno dell’aggettivo “civile”, come per “rivoluzione”, mai nominata.
Ma tant’è, questa è la situazione. Alle elezioni ci sono due liste che si dichiarano di sinistra, Sel guidata da Nichi Vendola e Rivoluzione Civile guidata da Antonio Ingroia. Hanno due strategie diverse, ma è bene per noi che prendano voti entrambe.
Così voterò Rivoluzione Civile – Ingroia alla Camera, dove questa lista ha buone chances di approdare, mentre voterò Sinistra Ecologia Libertà al Senato, dove ad una lista non in coalizione servirebbe un impossibile 8% su base regionale. Così facendo non penso ad un voto utile al governo autosufficiente del centrosinistra, penso al voto di sinistra più concreto, in attesa di riprendere un cammino di aggiornamento della stessa sulla base della partecipazione e della passione civile.
Quello del non-voto, se non è una scelta di vita, può essere solo uno stato d’animo transitorio, tipico di chi è deluso o è stato sconfitto. Come protesta non funziona, anzi è il massimo del conformismo perché accetta il risultato prodotto dal voto altrui.
Il voto utile è quello dell’elettore molto scrupoloso verso se stesso, al punto di cercar di salire o rimanere sul carro del vincitore. Chi lo chiede non fa leva sulle proprie idee o programmi ma sulla miseria morale e culturale.
Il voto al meno peggio rimanda alla situazione del non-voto, si usa quest’espressione quando è avvenuto (o c’è sempre stato) il distacco e non s’intravvede un gran bell’orizzonte. Ma le cose non cambiano da sole, la politica non vende i suoi prodotti preconfezionati in un supermercato. Se si vota il migliore prevale l’ottimismo dell’azione, se si vota il meno peggio prevale il pessimismo della passività. Anche questo è comunque un voto, come quello utile, su cui molti fanno silenziosamente conto.
Su Sel e Vendola mi sono già espresso qui. Partecipare alle ultime primarie non è una novità politica, è la logica conseguenza di una strategia. Certo, è dentro una concezione della politica che si può non condividere, anche secondo me la partecipazione è un’altra cosa. Ma i programmi, in stridente contrasto con quanto fatto dal Pd con il governo Monti, sono l’altro polo dell’impegno di Sel.
Sul M5S dirò la mia a parte.
Dopo la sconfitta della proposta Cspuò ho immediatamente pensato al non-voto; ora oscillo tra quella posizione iniziale e l’attenzione al richiamo, da parte di altri, per condurmi comunque alle urne, se non altro per contrastare il centrodestra e le destre.
Non apprezzo il voto utile e oramai sono stanca del voto al “meno peggio”. Se la mia posizione rimane questa non potrò votare. Se mi convinco della necessità del gesto so cosa non farò: non voterò il M5S, ma neppure Sel.
Vendola per me è morto politicamente il giorno in cui ha deciso di firmare la carta di intenti del Pd e quindi partecipare alle primarie. Non credo potrà, ai miei occhi, rescuscitare.