Alle elezioni del 2008 quattro partiti della sinistra (Prc, Pdc, Verdi e Sd) si presentarono in un’unica lista, la Sinistra Arcobaleno, guidata dal presidente uscente della Camera e leader di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti. Ne rimasero fuori i partitini identitari (Pcl, Sinistra Critica). La coalizione non fu una cosa tanto improvvisata. Fu già da fine maggio 2007 che si intensificò il processo di unificazione nei mesi successivi ci furono eventi e atti all’interno del Governo e del Parlamento in questa direzione. Ma il Governo Prodi cadde il 28 gennaio 2008 e il 13-14 aprile ci furono le elezioni. Il 28 ottobre era nato il Partito Democratico e il suo segretario Walter Veltroni si alleò solo con l’Idv di Di Pietro, più affine sui programmi, e chiese il voto utile.
La Sinistra Arcobaleno alla Camera prese solo 1.100mila voti (il 3,1%) e non entrò in Parlamento. Sono passati solo cinque anni, è storia recente, senza pretendere di ricostruirla in poche righe, questa storia ormai si può trovare ben scritta in poche voci di Wikipedia (Sinistra Arcobaleno, Sinistra Ecologia Libertà, Federazione della Sinistra), con tutti i suoi link interni. Sono qui rintracciabili anche le storie dei pochi protagonisti nazionali, a partire da Nichi Vendola.
Nichi Vendola fu il primo a reagire. Al congresso del Prc del gennaio 2009, propose una costituente e un nuovo partito dalla fusione con Sd e Verdi. La sua mozione è la più forte col 47,3%, ma le altre quattro si alleano e lo sconfiggono. Il 21 gennaio (un giorno fatidico nella storia dei comunisti italiani) Vendola lascia il Prc, annunciando un’altra via. Così alle elezioni europee del giugno 2009 si presenta Sinistra e Libertà che mette insieme Psi, Sd, Mps, Verdi, Uis e Mpa e che prende il 3,1% (Prc-Pdci al 3,4%.) Come accade sempre, l’insuccesso aumenta l’entropia. A luglio un seminario nazionale avvia la discussione sulla costruzione di un nuovo e unico partito pronto per le regionali del 2010. Ma a ottobre, protagonista Angelo Bonelli, i verdi escono. A novembre escono i socialisti.
Ma il 20 dicembre 2009 nasce lo stesso Sinistra Ecologia Libertà (Sel), con Vendola portavoce. Alle elezioni amministrative del marzo 2010, Sel prende il 9,7% in Puglia confermando Vendola governatore ed il 2,7% nelle altre 12 regioni. Non c’è ancora un partito su scala nazionale, ma al 1° congresso di Firenze dell’ottobre 2010 Vendola viene eletto presidente e mette a punto una strategia. Sarà nelle elezioni locali che Sel si deve giocare il suo futuro. La strategia di Vendola punta a consolidare il rapporto con un Pd piuttosto lacerato in correnti e ad usare a fondo l’area delle primarie nel centrosinistra. Così ci saranno le vittorie prime nelle primarie e poi alle elezioni amministrative del 2011 di Pisapia a Milano e Zedda a Cagliari.
Mentre l’Italia vive gli ultimi mesi di governo della destra, Vendola tiene ferma la barra: alleanza col Pd, che il suo segretario Bersani conferma. Ma il terzo alleato, l’Idv di Di Pietro nel 2012 entra in conflitto pesante con lo stesso, passando nei confronti del governo Monti dall’approvazione all’opposizione. Anche Sel si oppone in linea di principio, ma ha la benedetta fortuna di non essere in Parlamento e di non scontrarsi direttamente con l’alleato Pd su scelte inaccettabili quali le pensioni a fine vita, l’ineffabile riforma del lavoro Fornero, il pareggio di bilancio in Costituzione.
Vendola sa che il Pd non può vincere da solo le elezioni e che senza Idv – ormai considerata nell’area dell’antipolitica e in via di smembramento – non può rinunciare al suo apporto, seppur marginale. Accetta così l’alleanza col Pd, coi socialisti di Nencini e il Centro Democratico di Tabacci e Donadi (ex Idv). Perde alle primarie, ma ottiene un’indubbia esposizione mediatica altrimenti impossibile. Nella coalizione è inattaccabile anche perché ha accettato le regole dell’alleanza: primarie e voto a maggioranza quando non c’è accordo. E si dà finalmente un programma, un programma di sinistra.
Il problema di Vendola però resta tutto davanti, ancora non ha niente in pugno. Il Pd è un partito con tante anime, Bersani è solo il punto di equilibrio attuale. Se l’alleanza vince le elezioni, anche al Senato, non è ancora fatta. E’ un’alleanza sulle regole interne non su un programma, ma dopo le elezioni bisognerà scegliere: come rivedere il fiscal compact, come coprire il disagio sociale acutissimo, come finanziare nuova occupazione.
C’è un residuo di leninismo nella scommessa di Vendola, degno di un grande momento storico: cambiare il destino di un paese facendo leva sul giusto punto d’appoggio più che sul grande consenso, che sarà all’incirca 1/3 dei voti del 70-80% dei votanti, cioè un elettore su quattro. E sa già che potrà vincere la scommessa, in verità piuttosto lunga, solo se prende abbastanza voti per non essere sostituito come alleato da Monti & Co. (sarebbe una vera truffa, avere il premio di maggioranza con un alleato e cambiarlo, ma pare scontato).