Bruno Anastasia, un nostro compaesano, è un grande esperto di economia del lavoro. E’ infatti responsabile dell’area “Osservatorio & ricerca” di Veneto Lavoro, un ente della Regione Veneto istituito per fornire “assistenza tecnica in materia di politiche del lavoro”. Se leggo bene, è ancora protagonista in Ires Veneto, l’istituto di ricerche economiche e sociali collegato alla Cgil. In questi anni è stato anche docente in Economia del lavoro presso l’Università di Trieste, sede di Portogruaro. Quando posso lo leggo, è una fonte importante.
Sul sito Lavoce.Info, uno dei migliori giornali economici online, c’è una sua nota del 31 maggio sull’andamento del mercato del lavoro, “Cala ancora il lavoro dipendente“, come sempre molto chiara, seppur essenziale. La sostanza dell’articolo è nel titolo, ma la parte più interessante, nonché la timida novità, sta nella conclusione (il grassetto è nell’originale):
Di fronte al fatto che né il settore privato né il settore pubblico risultano in grado di esprimere una domanda di lavoro in risalita occorre pensare che per questa fase, in attesa di cambiamenti di scenario macroeconomico che non sembrano dietro l’angolo, servono anche politiche del lavoro eccezionali.
Sinceramente ho pensato: meglio tardi che mai. Questo sembra infatti un terreno impraticabile, come si trattasse ancora “di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante”, come scriveva il cardinal Bellarmino a proposito delle teorie eliocentriche all’epoca di Galileo. Qui vedo tanta tanta prudenza (“per questa fase”, “in attesa”), ma qualcosa pur si muove.
Così ne approfitto e segnalo che Luciano Gallino, veterano ma lucidissimo sociologo, ha ribadito su la Repubblica del 15 maggio una sua proposta (che metto in collegamento dal sito di ALBA, il soggetto politico nuovo a cui il professore ha aderito).
Lo Stato assume direttamente, tramite un’apposita agenzia, il maggior numero di disoccupati e di precari, che però vengono gestiti dal punto di vista operativo da enti locali. Gli assunti dovrebbero venire occupati in programmi di pubblica utilità diffusi sul territorio e ad alta intensità di lavoro. C’è solo da scegliere, dagli acquedotti che perdono il 40 per cento dell’acqua che distribuiscono alle scuole per metà fuori norme di sicurezza, dal riassetto idrogeologico del territorio alla tutela dei beni culturali. Il salario offerto dovrebbe aggirarsi sul salario medio o poco al disotto, cui andrebbe aggiunto il costo dei contributi sociali per sanità e previdenza.
E’ insostenibile? Nell’Ue non si può fare? Tutt’altro! Nella versione consolidata del Trattato europeo, del 2008, c’è una “Dichiarazione concernente l’Italia” (ma guarda un po’), la n. 49, che dice:
“Le parti contraenti… ritengono che le istituzioni della Comunità debbano considerare, ai fini dell’applicazione del trattato, lo sforzo che l’economia italiana dovrà sostenere nei prossimi anni, e l’opportunità di evitare che insorgano pericolose tensioni, in particolare per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti o il livello dell’occupazione, tensioni che potrebbero compromettere l’applicazione del trattato in Italia”.
Insomma, per farla brevissima, il premier Monti preghi pure in mondovisione col Papa, che all’economia male non fa, ma se vuole passare dalle più ortodosse strategie e liturgie alle buone azioni si faccia aiutare da chi ha ancora qualche fantasia. La fantasia è una risorsa importante.