“Ma io non la metterei la parola amen”
Domenica 18 marzo, al tramonto, è morto in un incidente stradale Ennio Furlanis, un amico. Era di Concordia e tutti lo conoscevano. Aveva solo 53 anni, era nato il 14 agosto del 1958. Ha vissuto 25 giorni meno del suo amato Pier Paolo Pasolini.
Come tanti, l’ho conosciuto in pizzeria, da Sacco & Vanzetti che aveva fondato con altri. Sentimmo subito e confrontammo il mondo comune. E chiamò una pizza Medea, come la mia terza figlia. Ma anche in questi ultimi anni, quando ci si incrociava per caso, ci si capiva con uno sguardo. Restava la sintonia, profonda. Anche quando, anzi soprattutto quando, non eravamo d’accordo e magari ci si sfotteva come sul calcio, lui interista, io juventino, come in politica. Perché insieme ad Ennio si capiva che la vita è tutta maledettamente stupida e ridicola e fragile e lì dobbiamo saper cogliere tutta la sua verità.
Così oggi non è rituale dire che ci mancherà, ma non del tutto, non del tutto. Anche se adesso non ho più le parole. Preferisco usare quelle di un nostro poeta, il friulano Pierluigi Cappello.
Addio Ennio. Ciao.
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Parole povere
Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.
Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.
Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.
Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.
Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.
Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.
Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.
Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.
Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.
Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.
Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.
Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.
Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.
Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.
Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.
Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.
Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.
Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.
Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.
Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.
Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.
Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.
E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande.
Pierluigi Cappello, Mandate a dire all’imperatore, Crocetti, Milano 2010.
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Cinque anni sono pochi o tanti, dipende da cosa misurano. Ma per un grande dolore o una vera gioia la distanza temporale non esiste. Si fissa dentro per sempre. Meno male che Ennio ci ha lasciato dentro anche un sorriso vitale. Ciao Ennio!
Un anno fa, il 18 marzo 2012, moriva Ennio Furlanis, un amico. Nel salutarlo scrivevo che ci sarebbe mancato, ma non del tutto. Oggi posso confermarlo. Ci manchi Ennio, ma ci sei ancora, ti sentiamo.