Centocinquanta anni fa, la notte tra il 4 ed il 5 marzo 1861, morì Ippolito Nievo. Fu probabilmente il 5 non il 4, come scrivono certe biografie, e aveva meno di trent’anni, essendo nato a Padova il 30 novembre 1831. Ufficialmente il Nievo, vice-intendente cioè vice-cassiere dei garibaldini, perì nel naufragio dell’Ercole sulla tratta Palermo-Napoli. Le cronache dicono di un tempesta che colpì la zona nella prima mattina, ma tutte le altre imbarcazioni entrarono tranquillamente in porto, non la sua, di cui non si trovò più traccia
Il primo a dubitare seriamente sul semplice incidente di mare fu il pronipote Stanislao Nievo, buon scrittore anche lui, che nel 1974 pubblicò Il prato in fondo al mare (ripubblicato nel 2010 da Marsilio), un romanzo a più strati, un’indagine serrata sul tragico viaggio e anche un tributo al grande antenato.
Più recentemente Cesaremaria Glori con La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo ‘Ercole’ (Solfanelli, 2009) ha ricostruito in altro modo la vicenda. In viaggio col Nievo c’erano circa 80 persone, ma anche una cassa che non conteneva solo documenti contabili della missione garibaldina, carte che servivano in difesa di certe accuse alla gestione. C’era anche la testimonianza dei finanziamenti inglesi alla missione stessa, in particolare delle elargizioni agli ufficiali borbonici che così opposero scarsa resistenza all’impresa dei Mille. Documenti che non potevano girare troppo e che non arrivarono mai a Napoli.
La ricostruzione del Glori è stata plagiata, a sua detta, nell’ultimo romanzo di Umberto Eco (Il cimitero di Praga, Bompiani, 2010) che fa raccontare la vicenda nella storia del suo protagonista, Simone Simonini, non senza giudizi sommari sul Nievo stesso.
Scrivo ciò per spirito di cronaca bibliografica, ma è chiaro che non è storiograficamente indifferente sapere che siano successe o no certe cose: a scuola si studiano le imprese dei Mille solo sulla base di certe notizie, forse è il caso di aggiornarle. Così – come abbiamo già scritto qui – è il caso di riscrivere attentamente la storia del cosiddetto brigantaggio del decennio 1861-1870.
Oggi però vorrei soprattutto ricordare lo scrittore Nievo, quello che a 27 anni scrisse Le Confessioni di un italiano. E’ stato scritto dallo stesso Stanislao che “era scritto bene, ma troppo lungo” e che non era “ancora spurgato dall’autore”, ma resta uno dei pochi grandi romanzi italiani dell’Ottocento, per me il migliore, anche perché ha dedicato molte pagine alle nostre terre.
Perciò io invito sempre alla lettura di un testo che ha ancora qualcosa da dirci perfino sui comportamenti dei nostri concittadini. Più di 150 anni dopo.
Ringrazio Falcolibero e Fausta Samaritani per i richiami fatti.
Per permettere ai miei pochi lettori di seguire la ricerca su Ippolito Nievo metto su Ratatuia il link al sito di riferimento.
Su Il Sole 24 Ore di oggi, 11 marzo 2011, Cesare De Michelis scrive su Nievo in un articolo dedicato ai Centocinquant’anni anni d’Italia e dentro una serie per regione, quindi dentro un pagina dedicata al Veneto.
Ebbene, De Michelis ne sottolinea due caratteristiche: (1) “Nievo è in perenne tensione tra due poli: città e campagna, storia e natura, etica ed estetica, senza mai che intravveda una mediazione risolutiva e tanto meno un ‘superamento’ possibile.” (2) “Ippolito è allo stesso tempo ‘veneziano’ e ‘italiano’”.
Poi, scrive sempre De Michelis, “il capolavoro nieviano (…) è piuttosto che un romanzo storico, una profezia, nella quale (…) ciò che conta è ciò che non accade, quel che non è ancora presente perché è ferventemente atteso.”
(Mi è sembrato utile sintetizzare queste affermazioni, mentre in questa settimana non ho trovato tra i giornali da me frequentati nessun altro riferimento consistente al nostro grande antenato.)
Stanislao Nievo riprese negli anni Novanta la storia tragica dell’Ercole e la inserì nel romanzo “Il sorriso degli dei”. Ma l’idea del complotto era molto antica. Negli anni Trenta lo storico Solitro già parlava di un ordigno infernale, scoppiato a bordo dello sfortunato vapore Ercole. La ricerca procede. Personalmente non sono convinta dei finanziamenti occulti inglesi, per due motivi: 1. Le monete d’oro turche non avevano corso legale nel Regno dei Borboni e non potevano essere cambiate in banca, ma solo privatamente, senza garanzia da parte del governo. Per cambiare 10.000 monete d’oro non sarebbero bastati tutti gli orafi di quel Regno! 2. Attraverso Agostino Bertani, che incaricò in Inghilterra il siciliano Scalia, Garibaldi acquistò a Liverpool due vapori inglesi di seconda mano, l’Oregon e l’Authion, per traghettare da Genova a Palermo armi e volontari. Se gli Inglesi avesso davvero voluto aiutare Garibaldi, avrebbero potuto benissimo rinunciare al pagamento del prezzo, invece di gravarlo sulle casse del Tesoro di Sicilia. In quanto al prezzo pagato ai generali borbonici, perché lasciassero Palermo senza più combattere, lo giudico tra i 600 mila e il milione di ducati d’argento del Regno borbonico. Nel prezzo era compreso il rilascio dei nove ostaggi in mano ai borbonici, scelti tra esponenti delle più nobili e ricche famiglie palermitane. Essi furono scaricati sul molo, come pacchi ormai inutili, il giorno della partenza da Palermo dell’ultimo contingente delle truppe borboniche.
Grazie Fausta, per la precisissima nota sui finanziamenti inglesi.
(Suggerisco ai lettori di cliccare su Fausta ed entrare sul sito dove si testimonia anche la ricerca di Fausta Samaritani.)
Vedo però che sull'”idea del complotto” non ti sbilanci, affermi che “la ricerca procede”. Resta il fatto che finora non c’è traccia di questa ipotesi sui testi di storia più generali, dove siamo ancora all’anno zero.
Per esempio, nell’opera ‘Risorgimento. Storia, documenti, testimonianze’, a cura di Lucio Villari (in otto volumi – Editoriale L’Espresso, 2007), si può leggere che Nievo: “Avendo avuto l’incarico di riportare da Palermo i documenti della spedizione, trovò la morte durante il viaggio di ritorno dalla Sicilia, nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, nel naufragio avvenuto nel mar Tirreno della nave a vapore Ercole” (vol. 7, p. 591).
Al massimo, un autore come Alberto Asor Rosa nella pur recente ‘Storia europea della letteratura italiana’ (Einaudi, 2009) arriva a scrivere che Nievo “scomparve nel misterioso naufragio del battello ‘Ercole’ la notte fra il 4 e i 5 marzo 1861” (vol. II, p. 626).
Caro Zanon, sull’ipotesi del complotto non mi sbilancio, perché nel racconto “Per l’onore di Garibaldi” si parla di qualcosa di più dell’ipotesi di un complotto. Ma gli attori sono tutti italiani e gli Inglesi non c’entrano. In Sicilia l’intreccio infame tra uomini politici emergenti, vecchi industriali volponi e banchieri di provata attività e che talvolta porta alla strage di stato, esisteva e qualche segno c’era stato anche nei fatti del ’48. Noi la chiamiamo oggi “alta mafia”. La “bassa mafia” ha fatto il lavoro sporco. Non solo scompaiono le carte, ma vanno a fondo anche i testimoni, tra cui era Nievo. Perchè non si dice chi erano gli altri naufraghi, per esempio, il povero amanuense Giuseppe Fontana? Perchè si addossa la colpa a Garassini che era un marinaio congedato che tornava a casa perché la guerra era finita?
Scusare se mi intrometto, ma sto leggendo “Il cimitero di Praga”. Sono arrivato qui perché, leggendo di Nievo, mi è sovvenuto una articolo, stampato circa 20 anni fa sulla rivista “Il Carabiniere” che, appunto parlava di “stragi di Stato” e, cercavo appunto maggiori certezze su cose che i media hanno sempre tenute nascoste.
Saluti a tutti.
Falcolibero
Lo scrissi su invito del direttore della rivista che era Pietro Zullino e che primo mi parlò dell’Ercole e della morte di Nievo. L’articolo era frutto di tre mesi di ricerche in archivi e biblioteche. Già allora mettevo il dito su Crispi che, a nome di Garibaldi, grazie ad un armistizio sottoscritto con il generale borbonico Lanza, il 1 giugno 1860 riceveva la consegna ufficiale del Banco a Palermo, dove erano 5.444.000 ducati d’argento del Regno delle Due Sicilie, (nessuna piastra turca, che nel Regno non era in circolazione!). Di questa consegna parlavano ampiamente i giornali del tempo. Citavo anche un passo del taccuino privato di Crispi che parlava di un sospetto (per me!) trasporto di “viveri”, da quel Banco alla fortezza di Castellamare – dove erano conservati i rifornimenti dell’esercito borbonico – ” viveri” chiusi dentro “furgoni” che, ieri come oggi, servono al trasporto di merce non visibile dall’eserno. Fino al mio successivo “Per l’onore di Garibaldi” considero quell’articolo su “Il Carabiniere” la fase più avanzata della ricerca sul tema della morte di Nievo. La rivista ricevette molte lettere di lettori.