Lavoro utile

L’altro giorno la grande lobby militare ha fatto sapere che se rinunciamo agli F35 si perderebbero posti lavoro. Ho pensato dunque di far comprendere la differenza fra occupazione e occupazione utile riportando la mia esperienza in un cantiere edile dove è stata attuata l’efficienza energetica e usate le rinnovabili. Buona lettura.

Lavoro utile

Sono architetto e da sempre recupero immobili soprattutto abitazioni e da almeno 10 anni mi interesso di efficienza energetica per tappare negli edifici i famosi buchi del secchio prima di riempirlo di acqua come dice Maurizio. Da alcuni anni inoltre cerco, assieme ad altri, di liberare gli immobili e la nostra società dal petrolio facendo funzionare tutta l’abitazione ad energia elettrica consumando una quantità di energia pari perlomeno a quella prodotta dall’impianto fotovoltaico.

Avete capito bene; siamo in grado di far funzionare una abitazione senza usare gasolio o gas, senza insomma usare petrolio grazie al sole. «Sei sicuro che non serve portare la linea del gas?» – mi fa preoccupata la mia committente Daniela, «fidati!» – gli dico.

Da poco ho terminato l’abitazione di Daniela che per funzionare senza gas o gasolio e consumare 10,70 kWh/mq*a ha avuto bisogno di tanti bravi artigiani: 13 imprese artigianali e di 5 studi professionali, tutti del posto per garantire nel tempo l’eventuale manutenzione.

L’edificio in oggetto e una parte di una bifamiliare ubicata nel comune di Portogruaro, in provincia di Venezia, costruita agli inizi degli anni 1970 e oggi sottoposta ad un recupero in funzione dell’efficienza energetica e dell’uso delle rinnovabili. Il volume complessivo dell’abitazione è di mc. 530, il volume riscaldato mc. 521 con una superficie coperta di 135 mq su uno e/o due piani, in un lotto di mq. 254. Una casa classica con tipologia bifamiliare, relativamente grande su un piccolo lotto, costruita con edilizia convenzionata per dipendenti statali.

L’abitazione isolata a cappotto con pannello di sughero di cm 14, ha un impianto con pompa di calore elettrica, pannello solare termico ed fotovoltaico, ha una classe energetica A+ con un indice di prestazione energetica globale (EPgi) uguale a 10,70 kW/h/mq*a, un consumo stimato annuo di 7.800 kWh/a (6.400 kWh/a per riscaldamento e 1.400 kWh/a per il funzionamento) e un impianto fotovoltaico installato con potenza nominale di 8,50 kW e una produzione attesa di 8.100 kW/a.

Inizio lavori 10 ottobre 2011 – fine lavori 1 aprile 2014: 2,5 anni di lavoro che hanno visto impiegate 13 imprese con un totale di 48 addetti. Imprese piccole, con un numero medio di addetti pari a 3,7. Imprese del posto, l’85% delle imprese hanno sede nella provincia di Venezia, il 15% nella confinante provincia di Udine. Imprese artigianali pronte a garantire nel tempo l’eventuale manutenzione. Alla progettazione hanno partecipato 5 studi professionali del luogo, 3 ingegneri, un perito ed il sottoscritto architetto – con un numero medio di addetti di 1,2 e una età media di 40,2 anni (nonostante i miei 61 anni). Professionisti giovani e bravi.

La spesa totale è stata di 320.000 euro, comprensiva di 35.000 euro di IVA e 28.000 euro di spese tecniche, con un ritorno fiscale in 10 anni di 240.000 euro; un totale di 54 addetti impiegati e 5.925 euro per ogni addetto.

Lavoro utile fatto da piccole imprese del territorio, progettato da giovani professionisti con un alto rapporto fra costi ed addetti, per liberare la società dal petrolio. Troppo semplice.

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Opere incompiute

Dall’elenco relativo al 2013 delle opere incompiute è stata ricavata una tabella suddivisa per Regioni.

Una lettura della tabella stessa fa rilevare che si tratta di 593 opere per un importo totale di intervento rilevato dall’ultimo quadro economico pari a 2.027.996.541,46 euro. Per l’ultimazione dei lavori di tali opere è necessario un importo pari a 1.181.802.824,35, vale a dire pari ad oltre il 50% dell’importo totale dell’intervento.

Tabella opere incompiute 2013

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No al nuovo ospedale unico

Nel nostro territorio esistono tre ospedali pubblici funzionanti (Portogruaro, San Donà e Jesolo), sistemati di recente e leggo in questi giorni che è stato raggiunto un accordo per fare un nuovo ospedale unico e contemporaneamente potenziare quelli esistenti. Lasciamo perdere la pia illusione del mantenimento degli esistenti nel caso venga costruito il quarto ospedale, ma chiediamoci perché oggi si decide di fare un nuovo ospedale e – soprattutto – con quali modalità di finanziamento e di gestione.

Il grande capitale privato che ha bisogno di fare sempre lauti guadagni e non potendo più investire nella finanza e negli immobili oggi ha deciso di investire in opere pubbliche, soprattutto a carattere sanitario. Come? Con il Project financing, in italiano Progetto di finanza, con cui imprenditori privati propongono alla Regione progetti di “Grandi opere” e si fanno anticipare i capitali dalle Banche. La Regione approva, sostenuta dal mondo politico che in cambio pensa di aumentare il consenso elettorale. Il conto, con gli interessi garantiti, lauti, più alti di un normale prestito bancario, lo paghiamo noi, i nostri figli e in parte i nostri nipoti con le tasse e i ticket.

Siamo in bancarotta, dobbiamo fare sacrifici, dobbiamo ridurre il debito che comunque aumenta, siamo senza lavoro e cosa facciamo? Grandi opere, molto costose, finanziate e gestite dal privato, pagate dalle generazioni future. Male!

Facciamo un unico polo specializzando i tre ospedali esistenti; niente grandi opere, niente sprechi, niente tangenti, niente ulteriori debiti per i nostri figli e soprattutto manteniamo una struttura sanitaria pubblica nel nostro territorio.

Se tre ospedali sono troppi perché farne un’altro? L’esperienza negativa del recente ospedale di Mestre, vedi la gestione, dovrebbe insegnare qualcosa ma probabilmente il mondo politico non comprende perché troppo impegnato a formare il consenso elettorale quotidiano a scapito del futuro di tutti noi.

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PD

Vediamo di fare un riassunto della attuale situazione politica italiana:

1. Il PD (Partito Democratico), un partito, organizza le proprie primarie (votazione libera di cittadini “vicini” al PD per orientare la scelta del proprio segretario politico) e vince Renzi;
2. Renzi in qualità di segretario politico del PD, votato dalla direzione del PD, sfiducia Letta, componente del direttivo dello stesso partito PD e mette in crisi il governo;
3. Renzi, in qualità di segretario politico del PD votato dalla direzione del PD, va dal Presidente della Repubblica per formare il nuovo governo.

Se tutto ciò corrisponde alla realtà, sono vecchio e rimbambito, il segretario di un partito che ha circa il 25% di voti a livello nazionale, manda a casa un governo e ne forma un altro grazie alle primarie dallo stesso partito organizzate. Perchè allora ricorrere alle elezioni nazionali se basta organizzare una votazione fra amici e chiamarla “primarie”.

Sono vecchio rimbambito e anche stupito che tutto ciò sia accettato non solo dalla società, ma anche dalle istituzioni che dovrebbero salvaguardare la democrazia di questa società.

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Chiedete il rimborso della tariffa di depurazione

Rimborso della Tariffa di Depurazione

La sentenza n°335 del 10/10/2008 della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime alcune norme della legge 36/1994 (legge Galli) e del decreto legislativo 152/2006, che stabilivano che la quota di tariffa del servizio depurazione fosse dovuta anche nel caso in cui la fognatura fosse sprovvista d’impianti di depurazione. La L.13/2009 e il successivo decreto del Min. Ambiente 30/09/2009 hanno disciplinato le modalità di rimborso.

Compilate il modello che scaricate dal sito del vostro acquedotto oppure chiedetelo e fate la domanda prima possibile perché esiste un termine oltre il quale non avete più diritto al rimborso.

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TTIP

Ambassador Michael Froman United States Trade Representative Executive Office of the President 600 17th Street NW Washington, DC 20508

Commissioner Karel de Gucht Commissioner for Trade European Commission
BE-1049 Brussels

16 Dicembre 2013

Signor Ambasciatore Michael Froman e Signor Commissario Karel De Gucht,
Le sottoscritte organizzazioni condividono l’appello datato 16 dicembre 2013 – primo firmatario l’associazione 335.org – e vi esprimiamo la nostra ferma opposizione all’inclusione della clausola ISDS (Investorstate Dispute Settlement – Risoluzione delle controversie tra Investitori e Stati) nel Trattato di partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership).

La clausola ISDS garantisce alle multinazionali straniere il diritto di ricorrere a un tribunale commerciale privato e contestare direttamente quelle politiche e azioni dei governi che, a loro dire, riducono il valore dei loro investimenti. Anche nel caso in cui un nuovo provvedimento venga applicato indistintamente a investitori nazionali e stranieri, la ISDS permette alle società straniere di chiedere un risarcimento per l’assenza di un “ambiente normativo prevedibile”.

Negli anni recenti è decisamente aumentato il ricorso alla ISDS per opporsi a una vasta gamma di politiche adottate dai governi. La sua inclusione negli accordi di libero scambio e nei trattati bilaterali di investimento ha permesso alle aziende di intentare oltre 500 cause legali contro 95 governi. Molte di queste sono rivolte direttamente contro l’interesse pubblico e le politiche ambientali.

Vi chiediamo con forza di escludere la clausola ISDS dal Trattato atlantico sul libero scambio per le seguenti ragioni:

La ISDS costringe i governi a usare il denaro dei contribuenti per risarcire le aziende per le normative che gli stessi governi hanno adottato a tutela della salute, dell’ambiente, del lavoro e altri temi di interesse pubblico: è stata usata infatti per attaccare provvedimenti riguardanti energie pulite, estrazioni mineraria, uso del territorio, salute, lavoro e altro. Di fatto, sugli oltre 14 miliardi di dollari in gioco nelle 16 cause ora pendenti in merito agli accordi di libero scambio statunitensi, tutti sono relativi a politiche legate ad ambiente, energia, regolamentazione finanziaria, salute pubblica, uso del territorio e trasporti – che non riguardano i tradizionali oggetti del commercio.

Le multinazionali sempre più spesso stanno sfruttando la ISDS per contestare gli interventi governativi non discriminatori. Per esempio, tramite questo meccanismo gli investitori europei hanno attaccato l’aumento del salario minimo in Egitto e un’azienda americana ha impugnato la decisione del governo peruviano di regolamentare i rifiuti tossici e chiudere una fonderia inquinante e pericolosa.

È famoso il caso del colosso del tabacco Philip Morris che ha intrapreso azioni legali tra Investitore e Stato contro le leggi anti-fumo in Uruguay e Australia, dopo aver fallito nel tentativo di combatterle nei tribunali nazionali. A maggior ragione, considerato il grande numero di compagnie registrate tanto negli Stati Uniti quanto nell’Unione europea, la quantità di attacchi basati sulla ISDS alle politiche per l’interesse pubblico sarà destinata ad aumentare nettamente se la ISDS stessa sarà inclusa nel Trattato atlantico sul libero scambio. I governi devono avere la flessibilità necessaria per attuare politiche nel pubblico interesse senza dover temere le rivalse legali delle aziende.

La clausola ISDS mina il processo decisionale democratico: concede infatti alle aziende straniere il diritto di impugnare direttamente le politiche e le azioni dei governi davanti a tribunali privati, scavalcando i tribunali nazionali e creando così un nuovo sistema legale a disposizione esclusiva delle multinazionali e degli investitori stranieri. La clausola ISDS offre alle multinazionali anche la struttura per opporsi alle decisioni dei tribunali nazionali, minando ancora di più il ruolo decisionale degli Stati. In breve, la clausola ISDS è una strada a senso unico attraverso la quale le multinazionali possono contestare le politiche dei governi ma, dall’altro lato, né ai governi né ai singoli sono garantiti pari diritti per far sì che le aziende debbano rispondere delle loro azioni.

I vigenti sistemi giuridici europei e statunitensi sono in grado di gestire le controversie sugli investimenti: gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno sistemi giudiziari e di protezione dei diritti di proprietà molto solidi. Includere la clausola ISDS nel TTIP non farebbe altro che offrire alle multinazionali un nuovo mezzo per attaccare le politiche nazionali che i rispettivi Tribunali ritengono lecite. Un sistema di risoluzione delle controversia tra Stato e Stato è più che sufficiente per gestire le controversie sugli investimenti.

Questo e altri motivi di preoccupazione evidenziano le ragioni per cui le nostre organizzazioni si oppongono a includere le controversie Investitore-Stato nel TTIP – Accordo di partenariato transatlantico.
Vi chiediamo quindi di escluderle dall’accordo stesso.

Usa e Unione Europea o internazionali:
350.org
Global Marshall Plan Initiative
……….

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Corrotti

L’Italia è uno dei paesi più cor­rotti d’Europa. Pur­troppo non è una sor­presa, ma que­sta volta a cer­ti­fi­care ciò che ogni cit­ta­dino ita­liano sa benis­simo è la Com­mis­sione Ue. Il primo rap­porto con­ti­nen­tale sul tema pre­sen­tato ieri a Bru­xel­les è impie­toso. La cor­ru­zione ita­liana vale 60 miliardi e rap­pre­senta il 4% del Pil. In tutti i 28 paesi dell’Unione costa 120 miliardi.

La Com­mis­sione non si è limi­tata a scat­tare una foto­gra­fia dell’esistente ma ha indi­cato chia­ra­mente le cause e le pos­si­bili solu­zioni per argi­nare una piega non più soste­ni­bile in tempi di crisi. L’azione penale nel nostro paese, dicono a Bru­xel­les, “è stata più volte osta­co­lata da leggi ad per­so­nam appro­vate per favo­rire i poli­tici impu­tati in pro­ce­di­menti giu­di­ziari, anche per reati di cor­ru­zione”. Altro pro­blema serio sono le norme sulla pre­scri­zione che abbi­nate ai tempi lun­ghis­simi della giu­sti­zia “deter­mi­nano l’estinzione di un gran numero di pro­ce­di­menti”.

E la Com­mis­sione non rispar­mia cri­ti­che nep­pure alla legge anti­cor­ru­zione varata nel 2012 per­ché “non modi­fica la legge sul falso in bilan­cio e l’autoriciclaggio e non intro­duce reati per il voto di scam­bio”.

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Piove, governo ladro (di futuro)

In un periodo di perdita di occupazione e di disastri ambientali, innondazioni e città che franano (a Volterra si sbriciolano trenta metri di mura medievali), sempre più onerosi sia economicamente che socialmente, Salvatore Settis propone la ricetta della manutenzione del territorio come soluzione ai disastri e come grande occasione di lavoro utile.

Secondo l’ANCE-Cresme, scrive Settis, in un rapporto dell’ottobre 2012, il 6,6 % della superficie italiana è collocato in frana, il 10,5% è ad elevato rischio idrogeologico, il 44% a elevato rischio sismico. I costi della mancata manutenzione del territorio sono stati valutati in 3,5 miliardi di euro l’anno (senza contare le vittime umane).

Con questi dati, continua Settis, il territorio ha bisogno di una manutenzione generale e continua che significa:
1 – fermare il dissennato consumo del suolo e la conseguente cementificazione;
2 – incentivare l’agricoltura di qualità, massimo baluardo contro il degrado dell’ambiente;
3 – rinunciare alla grandi opere e alla menzogna che esse sarebbero il principale motore dello sviluppo;
4 – rilanciare la ricerca sulle caratteristiche del nostro suolo e le strategie di prevenzione.

Per fare ciò bisognerebbe mettere in piedi un investimento annuo di 1,2 miliardi di euro per 20 anni che assorbirebbe una consistente manodopera. Come recuperare i fondi? Togliendo, per esempio, una gran parte dei 26 miliardi di euro delle spese militari.

Intanto piove governo ladro.

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Moriremo di debito pubblico

Quant’è e come è composto il debito pubblico italiano? A nov 2013 il debito è di 2.104 miliardi di euro, a nov 2012 era di 2.020 miliardi e 1.912 a nov 2011; l’85 % (1.779 miliardi) del debito di oggi  è composto da titoli pubblici.

Chi detiene il debito pubblico italiano? Il 39% (693 miliardi) è in mano a enti o banche estere, il 37% (667 miliardi) in mano a banche italiane, 387 miliardi ad assicurazioni, 99 miliardi sono della Banca d’Italia, il resto a imprese e cittadini italiani.

Un debito che continua a salire, un debito che dipende soprattutto dalle banche e dall’estero, un debito che ci rende sempre più poveri, un debito che continua a far fare lauti guadagni ai nostri creditori.

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Voglio votare scegliendo chi mi rappresenterà in Parlamento

Basta il titolo. Avanti tutti.

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