E la chiamavano civiltà occidentale

In queste ore quello di Irene Clennel è diventato un caso paradigmatico dell’epoca Brexit & Trump (per guardare solo all’Atlantico). Basta leggere qui sotto il sintetico articolo pubblicato oggi su Il Fatto Quotidiano. Ma ne parlano in tutto il mondo, dal Washington Post, all’Indipendent, al The Guardian.

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Irene, la perfida Albione la caccia dopo 30 anni
di Caterina Soffici
Nell’epoca della Brexit – Una vita assieme al marito inglese, figli e nipoti: mandata via da clandestina
Irene Clennell, originaria di Singapore, è sposata con un inglese da 30 anni, ma per la legge inglese non basta. È straniera, suo marito John si è ammalato e non guadagna abbastanza, quindi lei non ha più il diritto di restare nel Regno Unito. Così domenica l’hanno imbarcata su un aereo e rispedita al suo Paese, con sole 12 sterline in tasca e senza un posto dove andare. Perché Singapore è solo il suo Paese di origine, lasciato da 30 anni, i suoi genitori sono morti, visto che in Gran Bretagna ha la sua casa, due figli e anche un nipote. Ma nell’epoca della Brexit e di Trump non basta. Tale e tanta è la paura dello straniero, che possono accadere storie del genere più o meno nell’indifferenza generale. Irene è stata deportata, anche se in questi anni lei e la sua famiglia non hanno mai chiesto benefit, cioè i sussidi statali tanto odiati e tra le cause del voto xenofobo del referendum anti Europa.
Perché è successo, quindi? Una motivazione c’è, seppure surreale e del tutto priva di logica. Secondo il nuovo sistema di visti, introdotto nel 2012 dall’attuale primo ministro Theresa May quando era ancora ministro degli Interni, prevede che si debba dimostrare di avere un reddito superiore alle 18.600 sterline l’anno e di aver vissuto nel Paese per lunghi periodi senza interruzione. Ma Irene Clennell era tornata a Singapore in passato per periodi abbastanza lunghi per curare i vecchi genitori e quindi il visto permanente le era stato revocato.
Era tornata dalla sua famiglia – cioè un marito, due figli, un nipote, va ripetuto – grazie a un visto turistico, che però alla fine dell’anno scorso è scaduto. Durante un controllo di polizia a metà gennaio è stata quindi arrestata e messa in un centro di detenzione per immigrati, dove è rimasta fino a domenica scorsa, appellandosi intanto ai giudici britannici per ottenere giustizia e per vedere riconosciuto il suo diritto a vivere con suo marito. L’ha aiutata una associazione di avvocati dei diritti civili, che si occupano di immigrati. Secondo la cognata, interpellata dal Guardian, la donna è stata deportata senza preavviso proprio di domenica per evitare che la famiglia chiamasse gli avvocati. Secondo il racconto ci hanno provato, ma la domenica non sono riusciti a trovare nessuno.
Nel frattempo la notizia della deportazione di Irene Clennell ha fatto il giro del web e il sito Go Fund Me ha raccolto già 8.000 sterline per pagare le spese legali del ricorso.
Dal ministero degli Interni una sola laconica riposta: “Chi non ha diritto a rimanere, deve andarsene. Queste sono le regole”.
Il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2017
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