Neanche il Duce

In questi giorni siamo bombardati da tante notizie tristi o drammatiche, di fonte varia, anche in Italia, dove i mass media sono comunque molto, troppo, manovrati. Ma forse qualcuno non sa ancora che queste manovre a certuni non bastano, per esempio a Renzi capo di governo. Così riproduco qui sotto un commento (piuttosto decentrato rispetto alle mie solite fonti) sul disegno di legge previsto dal Governo sulla Rai. Non servono altre considerazioni.

Eiar, Eiar, alla RAI!
di Guido Salerno Aletta
Nel mondo della disinformazione, travolti un giorno dopo l’altro dalle notizie che si accavallano, nessuno ha più il tempo di leggere i testi proposti dal governo o quelli approvati dal Parlamento. Si discute spesso solo per sentito dire. Nella breve pausa pasquale, c’è invece il tempo di dare una sbirciata al testo varato dal Consiglio dei Ministri per riformare la RAI, sottraendola finalmente alla morsa dei partiti, per restituirle agilità e farla ritornare ai fasti culturali del passato. Bisogna leggere il testo, per come è stato diffuso, per farsi un’idea del passato assai lontano, politico ed istituzionale, che viene prospettato.
Innanzitutto c’è la centralità del Consiglio dei Ministri, prima ancora che del governo. In primo luogo, il contratto di servizio che disciplina i rapporti tra lo Stato e la RAI viene approvato “previa delibera del Consiglio dei Ministri”, così come è previsto che “Il Consiglio dei Ministri delibera gli indirizzi per il raggiungimento dell’intesa con l’Autorità”. In pratica, siamo tornati al tempo del Gran Consiglio, visto che anche l’attuale governo non si fida più dell’autonomia del Ministro delle Infrastrutture, cui spetta firmare il contratto di servizio.
Passiamo alla nomina del Consiglio di amministrazione, i cui componenti scendono da 9 a 7 membri. Qui il governo ha, insieme alla sua maggioranza, una posizione di potere blindato. Oggi, la Commissione parlamentare di vigilanza elegge 7 membri, con voto limitato ad 1: praticamente, c’è una ampia rappresentanza di tutte le componenti politiche. In futuro i rappresentanti del Parlamento saranno ridotti a quattro: dimagriti di tre unità. Secondo la vigente legge Gasparri, al Ministero dell’economia spetta nominare il Presidente ed un altro membro del Cda, ma la nomina del Presidente è soggetta alla preventiva valutazione positiva della Commissione di vigilanza, che diviene efficace solo se viene approvata con la maggioranza dei due terzi: il Presidente deve essere il garante di tutti.
Non solo salta questa procedura di verifica parlamentare, ma saltano i requisiti previsti dalla Gasparri per assicurare la elevata professionalità dei componenti del Consiglio di Amministrazione della RAI: oggi devono avere i requisiti richiesti per la nomina a giudice costituzionale, o comunque deve trattarsi di persone di riconosciuto prestigio ed esperienza manageriale. L’ondata di giovanilismo fa sì che in futuro possa essere eletto chiunque.
I quattro membri parlamentari previsti nella riforma appena presentata dal Governo saranno eletti 2 dal Senato e 2 dalla Camera dei deputati, con voto limitato. Ne consegue che nel Consiglio della RAI ci saranno 2 rappresentanti della maggioranza (che beneficia del premio di rappresentanza elettorale) e 2 delle opposizioni. Al Governo spetta la nomina di due membri, come ora, ma saranno designati dal Consiglio dei Ministri. Insomma, anche qui la decisione spetta al Gran Consiglio: non ci si fida neppure del Ministro dell’economia.
Il settimo componente del Cda RAI sarà eletto dal personale della RAI. Risulta ininfluente, perché comunque la maggioranza nel Consiglio di amministrazione è blindata: i 2 nominati dalla maggioranza di Camera e Senato ed i 2 nominati dal Governo dovrebbero fare blocco nei confronti dei 2 membri eletti dalle minoranze parlamentari. Il rappresentante del personale serve a fare bella figura.
Insomma, mentre si dice che la riforma serve a tener fuori i partiti dalla RAI, non si spiega perché il vero dominus sarà il governo, cui spetta anche designare un amministratore delegato. Tra l’altro, non si capisce neppure se costui sarà cooptato in Cda divenendone l’ottavo membro: è assolutamente inconsueto che ci sia un amministratore “delegato” che non sia membro del Cda. Sennò, da chi è delegato? D’altra parte, il testo della proposta è chiaro: l’amministratore delegato è nominato dal consiglio di amministrazione su proposta dell’assemblea.
Sempre nel ddl, si prevede che l’Amministratore delegato “rimane in carica per tre anni dall’atto della nomina, salva la revoca delle deleghe in ogni momento a parte del consiglio di amministrazione, sentita l’assemblea”. E’ chiaro che si tratta di una sfiducia, ma non si capisce come il Cda possa revocare all’Amministratore delegato le deleghe che invece gli sono attribuite per legge.
Ancor più grave, poi, è la possibilità di revocare i componenti del Consiglio di amministrazione, “deliberata dall’assemblea (e cioè dall’azionista Ministero dell’economia) che acquista efficacia a seguito di parere favorevole della Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza”: in pratica, potrebbe accadere che il Governo possa revocare l’intero Consiglio di amministrazione, e quindi anche i membri nominati direttamente dalle Camere, usando la maggioranza dei voti in Commissione. Ed il bello è che questa procedura di revoca è libera, non essendo previsto che si tratti di una sorta di sanzione da parte dell’azionista nei confronti di un Consiglio di amministrazione che abbia compiuto violazioni di legge, oppure che abbia presentato per più di un anno un bilancio con gravi squilibri economici o patrimoniali. Insomma, il Governo fa e disfa come crede.
I poteri della Commissione parlamentare sono ridotti al lumicino: in pratica, solo alla disciplina delle Tribune elettorali e delle Tribune politiche. Anche i poteri che risalgono a trent’anni fa, alla legge 103 del 1975 sono ridotti considerevolmente.
Tutte le altre novità che ci sono state promesse rimangono un mistero. La riforma del canone è rinviata ad un decreto delegato, così come quella dei servizi media audiovisivi e radiofonici, per la quale il Governo ha i seguenti direttivi “riordino e la semplificazione delle disposizioni vigenti; definizione del servizio pubblico con riguardo alle diverse piattaforme tecnologiche tenendo conto della innovazione tecnologica e della convergenza delle piattaforme distributive; indicazione espressa delle norme abrogare”.
Insomma, il Governo chiede una delega in bianco per fare ciò che vuole. Siamo tornati al passato, quello in cui il Governo faceva ciò che voleva e il Parlamento non conta niente.
Eiar, Eiar, alla RAI!

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