Moriremo democristiani

Quasi trent’anni fa, il 28 giugno 1983, Luigi Pintor commentava le elezioni nazionali e titolava su il manifesto con stile inconfondibile ma in maniera assai (e stranamente) ottimista: “Non moriremo democristiani”. Era successo che dopo sei governi (due governi Cossiga, uno Forlani, due Spadolini e uno Fanfani) la VIII legislatura finiva in anticipo, ma le elezioni non premiavano il “partito di maggioranza relativa”, com’era solita chiamarsi la Dc.

La Dc (segretario De Mita) con il 32,9%, perdeva il 5,4%, distribuito quasi tutto tra il Psi 11,4% (+1,6%), Pri 5,1% (+2,0%), Psdi 4,1% (+0,25%) e Pli 2,9% (0,95%), cioè i partiti che erano stati maniera variabile quasi sempre alleati di governo (il famoso “pentapartito). In quell’occasione destarono piuttosto sorpresa la tenuta del Pci con il 29,9% (-0,5%) e la crescita del Msi al 6,8% (+1,55%). Da quel voto, che rispetto a quanto vediamo in questi nostri tempi ebbe spostamenti ridicoli, nacquero i due governi Craxi, anche se la IX legislatura finì ancora una volta in anticipo e con l’ennesimo, il sesto, governo Fanfani.

Oggi, quasi vent’anni dopo anche la fine della Dc, governa un certo Enrico Letta, che vent’anni fa era presidente dei Giovani democristiani europei, e secondo Ilvo Diamanti, uno che se n’intende, il suo governo ha il consenso molto “largo”, quasi il 60% degli elettori. E il Presidente del Consiglio ancor di più.

Diamanti la chiama “nostalgia democristiana“. Ecco il finale dell’articolo pubblicato ieri anche su la Repubblica:

    Tuttavia, io penso che vi sia dell’altro, dietro a un consenso così elevato per un governo e un premier a capo di una maggioranza che non piace. La definirei: “nostalgia democristiana”. Che attraversa la storia della Repubblica, fin dalle origini.

    La stagione della Democrazia Cristiana, durata quasi cinquant’anni, ha impresso un marchio indelebile nella memoria degli italiani. Anche dei più giovani. “Quelli che” sono nati e cresciuti “dopo”. Quando Dc e Pci non esistevano più. Perché la storia della Prima Repubblica è stata scritta, insieme, dalla Dc e dal Pci. Democristiani e comunisti: alternativi e complementari. Governo e opposizione. Senza alternanza possibile. Alleati, nelle grandi “emergenze” – come negli anni Settanta, durante la stagione del terrorismo. Ma, comunque, (com) partecipi di un sistema “consociativo”, dove tutte le grandi scelte erano condivise. Come le nomine degli enti e delle istituzioni. A ogni livello e in ogni ambito.

    Il governo guidato da Letta piace a gran parte degli italiani perché rinnova questa memoria. Non solo perché Enrico Letta ha una biografia democristiana – e “popolare”. E propone, comunque, uno stile politico e di comunicazione che evoca quella tradizione. Ma perché questa strana maggioranza costituisce un rimedio al “disagio bipolare”. Assai diffuso nella Seconda Repubblica – fondata su Berlusconi e, appunto, sul bipolarismo. A cui gli italiani non si sono mai rassegnati fino in fondo. Perché non amano vincere. Ma neppure perdere. Governare da soli.

    Oppure fare opposizione. Vera. Così le larghe intese non piacciono. Ma il governo di larghe intese sì. Perché permette a tutti – destra, sinistra e centro, berlusconiani e antiberlusconiani – di governare insieme, ma senza sentirsi coinvolti. Provvisoriamente. Fino alle prossime elezioni.

    Quando in molti sperano che nessuno vinca. Come in questa occasione. Per poter governare ancora (quasi) tutti insieme. Ma senza ammetterlo. Perché l’Italia, in fondo, è uno Stato di Necessità. Perenne.

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