Padroncini (2)

I questi giorni non è stato difficile leggere diagnosi e prognosi sulla Lega. Partiamo da un classico, Eugenio Scalfari su la Repubblica del 15 aprile (la periodizzazione ed evidenziazione è mia):

La crisi della Lega ripropone in pieno la questione settentrionale. La Lega ha avuto il merito di portarla, quando nacque, all’attenzione dell’opinione pubblica ma il demerito di non individuare gli strumenti per risolverla. (…) La questione settentrionale non consiste nell’esodo di capitali dal Nord al Sud che la Lega ha denunciato e per impedire il quale ha proposto il suo federalismo o addirittura la scissione. Quell’esodo non c’è mai stato, c’è stato semmai il suo contrario perché le banche si sono concentrate al Nord, il grosso degli investimenti pubblici e dei prestiti bancari è avvenuto al Nord e le imprese che hanno investito al Sud sono state tutte e sempre provenienti dal Nord e al Nord sono affluiti i loro profitti e la distribuzione dei loro dividendi.
Il vero problema del Nord è il capitalismo dei “padroncini”, delle imprese con meno di 20 addetti che costituiscono a dir poco il 95 per cento dell’intera struttura imprenditoriale italiana (…) . Bisognava che i “padroncini” (…) diventassero imprese vere, con almeno 50 dipendenti, consorzi, distretti industriali, capacità di ricerca e d’innovazione. Così non è stato. Il tentativo dei distretti è il più delle volte fallito o restato sulla carta, i punti d’eccellenza ci sono stati e ci sono ma il grosso di quest’immensa fascia di capannoni che ha costellato tutte le pianure del Nord e dell’Est ha funzionato fino a quando il cavallo dei consumatori e degli utenti ha bevuto. Con la crisi iniziata nel 2008 il cavallo beve ormai pochissimo e i “padroncini” stanno di male in peggio.
Questa è la questione settentrionale, alla quale la Lega non ha dato alcuno sbocco politico, anzi l’ha impantanata nell’alleanza populista con Berlusconi che non solo non ha visto la crisi ma l’ha negata fino a quando la crisi l’ha travolto. La Lega ha dato molti buoni amministratori comunali, questo sì, ma al di sopra di quel livello localistico è stata un esperimento disastroso per il Nord e per l’intero Paese. In più anche un luogo di malaffare. Prima scomparirà, meglio sarà. Ma resterà in piedi la questione settentrionale, così come resta in piedi quella meridionale. E resteranno in piedi fino a quando non sarà risolta la questione nazionale.
Il governo Monti ha mosso i primi passi su questa strada ma ci vorrà almeno una generazione per condurla a termine. Dove sia questa generazione io non lo vedo, ma forse dipende dai troppi anni che ho sulle spalle. Mi auguro che sia così e che la generazione cui quel compito è affidato ci sia, sia pronta e si faccia vedere.

Ma c’è anche chi fa una diagnosi quasi opposta, come si può leggere di Luca Ricolfi su La Stampa del 16 aprile (il testo è semplificato, ma potete leggerlo tutto sul link):

A forza di parlare di federalismo (è da vent’anni che lo si fa), rischiamo di dimenticare qual è la sua origine, ovvero quali sono i problemi per risolvere i quali il disegno federalista ha preso piede in Italia all’inizio degli Anni 90. Se andiamo alle radici e lasciamo da parte il folclore – Roma ladrona, i terroni, la Padania è piuttosto chiaro che la ratio principale del federalismo non era, all’origine, quella di rendere più efficiente la pubblica amministrazione, o di restituire alle Regioni settentrionali il maltolto (…) No, la funzione e lo scopo del federalismo erano più semplici e più fondamentali: permettere ai territori più dinamici e produttivi del Paese di tornare a crescere a un ritmo ragionevole, liberandoli da un’oppressione fiscale che – nei primi Anni 90 – stava ormai soffocando l’economia italiana, sempre meno capace di espandere l’occupazione, reggere la concorrenza internazionale, innovare prodotti e processi.
Detto in altre parole: il federalismo non era principalmente un fine, un ideale politico, bensì un mezzo, un potente strumento di raddrizzamento dell’economia e della società italiana, (…) degli sprechi, dell’evasione fiscale, e soprattutto dell’immane trasferimento di risorse da Nord a Sud – 50 miliardi di euro l’anno [di cui] almeno una parte deve rientrare al Nord, e deve servire a rimettere i produttori in condizione di fare il loro mestiere.
(…) L’aver rimosso dalla riflessione politica questo compito, e avere accettato di spostare ancora in avanti l’entrata in vigore del federalismo, è probabilmente il più grave errore politico che la Lega abbia compiuto da quando esiste, perché – verosimilmente – esso condurrà alla scomparsa del federalismo dal centro della scena politica. Divenuto inutile, in quanto fuori tempo massimo, per risolvere il problema da cui era nato, il federalismo è destinato a entrare nel museo dei sogni politici del passato, che possono trastullare ancora a lungo i militanti, ma sono ormai fuori della realtà e del sentire comune.
Bruciato dai suoi stessi ideatori il sogno federalista, l’Italia dovrà trovare altre strade per risolvere i suoi problemi.

Come vedete Scalfari pensa che con Monti si sia già imboccata la “strada”, mentre Ricolfi pensa ad “altre strade” ma non dice quali. Non concordano sulla diagnosi (cause), non possono farlo sulla prognosi (strada). Ma qual è la diagnosi giusta? Per me nessuna delle due.

Penso che sia più vicino alla realtà quanto scritto da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera dell’8 aprile:

Difficoltà e incapacità che hanno una sola origine: l’idea, condivisa tanto dalla Lega che dal berlusconismo, che al dunque la politica possa essere, e di fatto sia, solo rappresentanza di interessi (inclusi quelli di coloro che la fanno…), e nulla più. Non già, come invece è, visione generale, indicazione di traguardi collettivi e di strumenti adeguati, impulso autonomo mosso da valori, e su queste basi, poi, ma solo poi, anche mediazione creativa tra esigenze diverse. Le conseguenze? Nessuna o poca idea di nazione e di Stato, scarsa etica pubblica, noncuranza per le regole; e, come non bastasse, una leadership sempre incerta tra virulenza da capataz e un molto casalingo tirare a campare. I risultati li abbiamo visti.

Io penso che Scalfari che Ricolfi prendano gli effetti come fossero cause. Invece le cause sono queste: corruzione, illegalità, evasione fiscale, ingiustizia sociale, criminalità organizzata. I “padroncini” ed i “trasferimenti” sono effetti. E a livello individuale le cause, non effetti, sono l’egoismo, il narcisismo, l’inautenticità.

Come andrà a finire questa malattia? Pur in presenza di punti di necrosi, io sono ottimista. E non sono pazzo. Ho presente come ha votato il Paese ai referendum di giugno 2010. C’è pienamente in atto una forte reazione dell’organismo, ma questa reazione deve essere aiutata, assecondata. Subito però. Non c’è tempo.

Questa voce è stata pubblicata in Politica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *