La fine del dragoncello

“Ma la vera tragedia non è quello che ha fatto: è quello che non ha fatto. Neanche i suoi più fedeli ammiratori sono in grado di elencare cinque decisioni degli ultimi quindici anni di cui andare davvero orgogliosi.” Così ha scritto in settimana Tobias Jones sull’inglese The Guardian, come riportato da Internazionale N. 877 (pag.13).

Se qualcuno ha pensato di aver vissuto in una commedia, che so… nel grande Falstaff verdiano che riprende Le allegri comari di Windsor di Shakespeare, si è sbagliato di grosso. Dall’estero, con il minimo distacco, ci fan sapere che siamo proprio dentro una tragedia. Secondo me però non di spirito e finale shakespeariano, piuttosto siamo nel teatro dell’assurdo di Samuel Beckett. Ma dove? In Aspettando Godot o in Finale di partita?

La prima opera ha protagonisti Estragone e Vladimiro, inseparabili nella loro inerzia. Mi viene quindi naturale associarmi a questa, mettendo assieme destra e sinistra. Ricordo poi che Estragone è un nome molto evocativo, è infatti anche sinonimo di dragoncello, una pianta che in Italia non è spontanea ma solo coltivata. Ma la seconda opera, oltre al titolo beneaugurante, ha protagonisti che hanno una storia, nonostante la situazione sospesa e assurda del momento.

Forse però in Italia stiamo vivendo contemporaneamente dentro entrambe le tragedie di Beckett, a  testimonianza della sua grande arte e della nostra (italiana) assoluta capacità di adattamento al delirio e all’assurdo.

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